Come risaputo, l’abuso edilizio rappresenta una questione aperta del nostro territorio, dove negli anni, soprattutto in epoche passate, la sostanziale cadenza periodica dei “condoni edilizi” ha ingenerato in molti il convincimento che ogni modifica abusiva dei propri immobili sarebbe poi potuta essere regolarizzata nel tempo a venire.
Per questa e altre ragioni l’abuso edilizio rappresenta un tema spesso affrontato in ambito giuridico, per cui sembra interessante tracciarne le linee guida.
Si ha abuso edilizio ogniqualvolta un manufatto, un’opera edilizia sia stata realizzata in assenza o in difformità del titolo richiesto per legge. È bene precisare che questo approfondimento è diretto ad indagare solamente l’aspetto amministrativo della questione (quindi non l’eventuale profilo penale) e non riguarda quelle violazioni della normativa urbanistica che possono essere definite mere irregolarità, punite solo con sanzioni pecuniarie. Ciò che ci interessa chiarire, infatti, sono gli strumenti di tutela dei soli abusi che comportino un ordine di demolizione dell’opera, ossia gli interventi che necessitano di SCIA o di permesso a costruire e che siano realizzati in difformità o in assenza di tali titoli.
Laddove venga riscontrato l’abuso, l’amministrazione agisce attraverso una sequenza amministrativa molto complessa. Proviamo ad analizzarla un po’ più nel dettaglio.
Sospensione dei lavori e avvio del procedimento di repressione dell’abuso
Se l’abuso è riscontrato a “cantiere aperto”, ossia durante lo svolgimento dei lavori, il primo atto che l’amministrazione deve adottare è la sospensione dei lavori. Una volta ordinata tale sospensione, l’amministrazione è obbligata ad emettere, entro il termine perentorio di 45 gg., l’ingiunzione a demolire.
Dal punto del destinatario dell’atto si tratta di un atto con efficacia limitata nel tempo, che smetterà necessariamente di produrre effetti. In un caso, perché superato dall’ordine di demolizione, nell’altro, per il trascorrere dei 45 giorni senza che sia intervenuto il provvedimento sanzionatorio.
Sotto il profilo processuale, quindi, l’ordine di sospensione dei lavori può, ma non deve, essere impugnato esclusivamente per due ragioni. Innanzitutto per richiederne la sospensione al giudice amministrativo, ossia per consentire un provvedimento di urgenza che permetta di sospendere l’efficacia della sospensione dei lavori. In secondo luogo, per ottenere il risarcimento del danno. Il fermo tecnico del cantiere potrebbe aver provocato danni che potrebbero essere risarciti in caso di illegittimità del provvedimento di sospensione.
L’ordine di demolizione delle opere abusive e acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente
A prescindere dallo stato di svolgimento dei lavori, il primo atto successivo adottato per la repressione dell’abuso è l’ordine di demolizione. È utile sapere che si tratta di un atto non soggetto a nessun limite temporale, che quindi può essere adottato anche a distanza di decenni dal compimento dell’abuso. Tale ingiunzione è diretta all’accertamento della violazione delle norme urbanistico-edilizie e alla condanna del proprietario e di tutti gli altri soggetti che la legge coinvolge (proprietari; coloro che hanno realizzato le opere – se conosciuti; i possessori – se il bene sia posseduto da altri) a demolire le opere, entro un termine non superiore a 90 gg.
Successivamente, in assenza della demolizione richiesta, l’amministrazione adotterà il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente.
È importante osservare che la mancata demolizione entro il termine assegnato comporta il diritto dell’ente all’acquisizione in qualunque momento. Il privato è inadempiente e la scadenza del termine provoca l’acquisizione gratuita, mentre l’atto di acquisizione è solamente ricognitivo dell’entità dell’area.
Gli strumenti di tutela
Una volta che il percorso repressivo sia iniziato, il privato ha a disposizione una serie di strumenti per reagire all’attività sanzionatoria dell’amministrazione e tentare di impedire la demolizione o l’acquisizione al patrimonio dell’ente.
È importante chiarire che in assenza di intervento tempestivo del privato il procedimento si conclude, come detto, con l’acquisizione dell’area. Il privato ha quindi l’onere di reagire immediatamente, altrimenti la situazione si consolida e non potrà più essere modificata in suo favore.
Tanto chiarito, il destinatario del procedimento ha a disposizione due tipologie di strumenti. In primo luogo ha la possibilità di presentare un’istanza diretta all’accertamento della conformità urbanistica dell’opera.
Non è insolito che, soprattutto in tempi risalenti, alcune opere siano state realizzate senza titolo, non tanto perché si trattasse di interventi non realizzabili, ma per altre ragioni contingenti (come per esempio, l’attesa eccessiva per ottenere il permesso a costruire oppure l’ammontare importante degli oneri urbanistici). In tali ipotesi il destinatario dei provvedimenti repressivi può chiedere all’amministrazione una regolarizzazione tardiva delle opere, presentando un’istanza di accertamento di conformità del bene agli strumenti urbanistici. Perché tale istanza sia accolta è necessario che sussista la cosiddetta “doppia conformità”, ossia l’opera doveva essere conforme sia al momento della sua realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza.
Ovviamente anche tale istanza è soggetta a un termine perentorio, per cui deve essere proposta entro e non oltre la scadenza del termine assegnato per la demolizione. Qualora venga proposta, però, sospende il termine per la demolizione ingiunta, dando così al privato e all’amministrazione il tempo di verificare la regolarizzabilità dell’opera.
Il secondo strumento che l’ordinamento fornisce al privato e che è indipendente dalla richiesta di regolazione tardiva del bene, è invece la possibilità di contestare gli atti repressivi davanti al giudice amministrativo, ove ritenga che gli stessi facciano errata applicazione della legge.
Esistono una serie di ragioni che potrebbero far ritenere che l’amministrazione abbia agito illegittimamente nel reprimere l’abuso edilizio, per cui al cittadino è sempre accordata la possibilità di far verificare al giudice la correttezza degli atti adottati. È bene ricordare però che la legge concede termini molto ridotti per rivolgersi al giudice e che la tempestività dell’azione è fondamentale in tutte le fasi del procedimento repressivo (a partire dal momento di eventuale adozione dell’ordine di sospensione dei lavori). Inoltre, senza dilungarci nella spiegazione delle ragioni tecnico-giuridiche, è opportuno sottolineare che in tema di abuso edilizio non è sufficiente l’impugnazione del solo atto conclusivo del procedimento (ossia dell’acquisizione gratuita al patrimonio dell’ente pubblico), ma è necessario contestare tempestivamente gli atti precedenti e, in particolare, l’atto in cui l’ordine di demolizione. In mancanza di ricorso tempestivo, infatti, la mera impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento, senza la previa impugnazione dell’ingiunzione a demolire, rende insuperabile l’accertamento dell’abuso, impedendo al privato ulteriori azioni per contrastare l’attività repressiva dell’ente (se non, semmai, quelle dirette a contestare la mera identificazione dell’area soggetta ad acquisizione).